Missing the Sea

Derek Walcott

 

 

Something removed roars in the ears of this house,
Hangs its drapes windless, stuns mirrors
Till reflections lack substance.

Some sound like the gnashing of windmills ground
To a dead halt;
A deafening absence, a blow.

It hoops this valley, weighs this mountain,
Estranges gesture, pushes this pencil
Through a thick nothing now,

Freights cupboards with silence, folds sour laundry
Like the clothes of the dead left exactly
As the dead behaved by beloved,

Incredulous, expecting occupancy.

Perdita del Mare

Derek Walcott

 

 

Mugghia qualcosa di rimosso nelle orecchie di questa casa,
Appende tende senz’alito di vento, inebetisce specchi
Fino a far perdere ogni realtà ai loro riflessi.

Un certo suono improvvisamente s’arresta
come lo stridore dei mulini a vento;
Un’assenza assordante, un colpo.

Assedia questa valle, opprime questa montagna,
Distorce ogni gesto e ora spinge questa matita
Verso un nulla compatto,

Trasporta in silenzio dispense, ripiega i panni acri
come i vestiti del morto, esattamente
Come facevano i morti, lasciati così dai familiari,

Increduli, in attesa di qualche altro impiego.

 

Traduzione ©Paolo Ottaviani

 

 

“Poets traslating Poets”: riflettendo sulle parole che danno felicemente il titolo a questa raffinata rubrica telematica di Matilda Colarossi mi sono accorto che ogni poetessa ed ogni poeta è anche – maiore, conscia aut inscia causa – una traduttrice o un traduttore, indipendentemente dalla singola lingua o dalle diverse lingue che usa. Se infatti ogni poesia è una viva e palpitante creatura, tuttavia essa non avrà mai alcuna vita reale fino a quando non sarà stata “tradotta” in un linguaggio udibile e visibile, nei codici che regolamentano quel determinato linguaggio, anche se questo fosse l’unico conosciuto dal poeta. Ogni poesia quindi, quando per la prima volta appare sulla pagina, è stata già “tradotta”, traslata dall’inesistenza alla luce della vita reale. In questo senso comporre e tradurre poesia sono cose assai simili, oserei dire psichicamente ed artisticamente le stesse, perché cambiano solo i rispettivi codici linguistici e il modo in cui il singolo poeta li applica e li personalizza. Qui, credo, risiede la ragione più profonda per cui hanno diritto all’esistenza tutte le possibili traduzioni di uno stesso testo che le poetesse o i poeti hanno voluto produrre. Credo quindi che, quando si tratta di letteratura e di poesia e non di documenti o atti burocratici, anche la traduzione sia un atto artistico e “creativo”. E mi piace pensare che in ogni poesia aleggi uno spirito che attende una nuova vita in una nuova lingua. Nella poesia di Derek Walkott – Missing the sea – aleggia il luttuoso spirito della perdita, una perdita davvero prodigiosa, come quella del mare o del ricordo del mare. Mi auguro che quello stesso spirito, seppure solo dell’assenza e del lutto, continui a vivere nella mia traduzione. – Paolo Ottaviani

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