Canto selvaggio

Antonia Pozzi

Ho gridato di gioia, nel tramonto.

Cercavo i ciclamini fra i rovai:

ero salita ai piedi di una roccia

gonfia e rugosa, rotta di cespugli.

Sul prato crivellato di macigni,

sul capo biondo delle margherite,

sui miei capelli, sul mio collo nudo,

dal cielo alto si sfaldava il vento.

Ho gridato di gioia, nel discendere.

Ho adorato la forza irta e selvaggia

che fa le mie ginocchia avide al balzo;

la forza ignota e vergine, che tende

me come un arco nella corsa certa.

Tutta la via sapeva di ciclami;

i prati illanguidivano nell’ombra,

frementi ancora di carezze d’oro.

Lontano, in un triangolo di verde,

il sole s’attardava. Avrei voluto

scattare, in uno slancio, a quella luce;

e sdraiarmi nel sole, e denudarmi,

perché il morente dio s’abbeverasse

del mio sangue. Poi restare, a notte,

stesa nel prato, con le vene vuote:

le stelle – a lapidare imbestialite

la mia carne disseccata, morta.

.

Pasturo, 17 luglio 1929

Wild chant

Antonia Pozzi

I cried out with joy, in the twilight.

I was looking for cyclamens in the north winds:

I’d climbed to the foot of a rock

swollen and rough, ridden with shrubs.

On the field riddled with boulders,

on the blond heads of the daisies,

on my hair, on my bare neck,

from the towering sky flaked the wind.

I cried out with joy, as I descended.

I adored the bristly and wild strength

of my ready knees as I soared;

unexplored and virgin strength, stretching

me like a bow in its true course.

The way was strewn with cyclamens;

the fields lay languidly in the shade,

trembling still from the golden caress.

In the distance, in a green triangle,

the sun lingered. I would have liked

to sprint, in a leap, towards that light;

and lie in that sun, and strip off my clothes,

so that the dying divinity might drink

my blood. Then stay, at night,

stretched on that field, veins hollowed:

the stars – furiously pelting

my parched flesh, dead.

Pasture, July 17, 1929

Translation ©Matilda Colarossi