I know why the caged bird sings by Maya Angelou
A free bird leaps on the back But a BIRD that stalks down his narrow cage
The caged bird sings with a fearful trill The free bird thinks of another breeze But a caged BIRD stands on the grave of dreams
The caged bird sings with
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Io so perché canta l’uccello chiuso in gabbia di Maya Angelou
Un uccello libero balza sulle spalle Ma un UCCELLO che si aggira nella sua stretta gabbia Chiuso in gabbia l’uccello canta con note impaurite L’uccello libero pensa alla prossima brezza Ma chiuso in gabbia un UCCELLO è ritto sulla tomba dei sogni Chiuso in gabbia l’uccello canta con
Traduzione ©Patrizia Sardisco
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Il simbolismo esplicito di questa poesia, il suo dettato nitido, potrebbero indurre il lettore ad accontentarsi unicamente del messaggio più affiorante di cui essa è portatrice: l’attivismo dell’autrice, del resto, autorizza a vedere nel canto la protesta, la rivendicazione del diritto inalienabile della libertà.
Se ciò, di per sé, non appare certamente errato, tralascia tuttavia un’eccedenza di significato che lo scavo indotto dal lavoro di traduzione non può ignorare.
A mio avviso, il contrasto radicale tra i due uccelli, tanto puntualmente tipizzati, finisce con il mettere in drammatica evidenza gli elementi che li rendono simili, che li accomunano sotto la volta del medesimo cielo, che ce li rendono riconoscibili come appartenenti alla stessa razza: la distanza disegna una curva, le estremità si saldano.
L’esercizio della libertà da parte del primo uccello, i voli temerari e l’ardimento con il quale si appropria dello spazio che a tratti ci appare quasi privo di limiti, smisurato tra gli elementi naturali, a ben guardare non è più potente del canto del secondo, il quale, pur con le ali recise e i piedi legati, scavalca gli angusti confini della gabbia in cui è stato recluso e raggiunge distanze le cui misura non è precisabile.
Il carattere di rivolta assunto dal canto rende il secondo uccello non meno capace di volo del primo: entrambi sembrano incarnanare la tensione insopprimibile di ogni essere umano a oltrepassare, a superare il finito che lo ingabbia. Entrambi “osano” aprire la gola, per nominare, per cantare.
Mi sono accostata alle parole limpide di Maya Angelou con umiltà e con un genuino desiderio di com-prendere, di prendere e portare con me il suo canto. Ho creduto di rinvenire il disegno di una lucida visione antropologica che approfondisce e al tempo stesso incornicia le parole della poeta.
Parole che sembrano nate per una loro dizione ad alta voce e che, anche per ciò, mi hanno spinto verso la ricerca e il tentativo di restituire suoni, assonanze, rime.
Sin dal titolo, il nodo più tenace da sciogliere è apparso quel “caged”, così immediato e conciso in lingua inglese, così forte e castrante. Pur esistendo, in italiano, la parola “ingabbiato”, ho ritenuto che questa non contenesse un’analoga potenza espressiva né rendesse l’immagine del gesto violento e cattivante che avverto nella parola “caged”. La scelta di usare l’espressione “chiuso in gabbia”, confesso sofferta sul piano del ritmo, mi è apparsa da preferire per questa ragione e per la possibilità di conservare, anche nella versione italiana, la rima cage/rage dell’originale. – Patrizia Sardisco
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